TRIBUNALE ORDINARIO  DI LIVORNO 
 
    Il Giudice designato, dott. Raffaella Calo' nella causa  iscritta
al n.185/2011 R.G. Aff. Cont. Lavoro sciogliendo la riserva formulata
all'udienza del 28 gennaio 2014, letti gli atti di causa e preso atto
delle istanze delle parti; 
 
                            O s s e r v a 
 
    1. Con ricorso depositato il 1° febbraio 2011, il sig.  Paoletti,
premesso di' avere lavorato sino al 31 luglio 1995 alle dipendenze di
ATAC s.p.a., di avere presentato domanda di pensionamento  anticipato
ai  sensi  dell'art.  4  comma  1  decreto-legge  25  novembre   1995
(convertito in legge n. 11 dei 5 gennaio 1996) e di  avere  visto  la
propria domanda accolta,  ha  esposto  che  l'INPS  ha  provveduto  a
liquidare la sua pensione con decorrenza 1° agosto 1995 calcolando la
pensione  sulla  base  dei  contributi  previdenziali  effettivamente
versati dal ricorrente al  momento  della  cessazione  del  rapporto,
considerando la maggiorazione fino a trentacinque anni solo  ai  fini
del raggiungimento dell'anzianita' assicurativa e non anche  ai  fini
della misura della pensione. 
    2.  Il  ricorrente  ha  dunque  convenuto  in   giudizio   l'ente
previdenziale al fine di sentire accertare il  proprio  diritto  alla
riliquidazione  della  pensione  ET   n.   453773   sulla   base   di
un'anzianita'  di  35  anni  di  contribuzione  in  applicazione  del
disposto dell'art 4 comma 1 del decreto-legge n. 501/1995, convertito
in legge n. 11/1996 e, per l'effetto, sentire  condannare  l'INPS  al
pagamento in suo favore della somma di euro  15.816,77  per  i  ratei
arretrati sino al 30 settembre 2010 nonche' dei ratei maturandi  fino
all'effettivo soddisfo, oltre interessi legali dalle singole scadenze
al saldo. 
    3. L'INPS, costituitosi  in  giudizio,  resisteva  alla  domanda,
sollevando  due  eccezioni  preliminari:  la  mancanza  del   ricorso
amministrativo e quindi l'improcedibilita' della domanda  nonche'  la
decadenza ai  sensi  dell'art.  47  d.P.R.  n.  39/1970,  cosi'  come
modificato dall'art. 38 lettera d) del decreto-legge 6  luglio  2011,
n. 98, conv. in legge n. 111 del 2011, entrato in vigore  nelle  more
del giudizio; nel merito l'INPS domandava il rigetto della domanda in
ragione del fatto che il ricorrente non avrebbe  allegato  e  provato
che il pensionamento per  cui  e'  causa  non  sarebbe  avvenuto  per
eccedenze strutturali, ed  eccepiva  in  ogni  caso  la  prescrizione
quinquennale o decennale del diritto affermato dal ricorrente. 
    4. Con note autorizzate dal Tribunale  e  depositate  in  data  8
febbraio 2012, il ricorrente ha affermato la  contrarieta'  dell'art.
38 comma 1 lettere c) e d) del decreto-legge 6  luglio  2011,  n.  98
alle norme della Convenzione europea  dei  diritti  dell'uomo,  cosi'
come interpretate dalla Corte di Strasburgo nella sentenza  Agrati  e
altri c.  Italia;  in  particolare  il  ricorrente  ha  lamentato  la
violazione del principio del  giusto  processo  sancito  dall'art.  6
della CEDU nonche'  la  irragionevolezza  dell'intervento  normativo,
attesa la violazione del principio di legittimo  affidamento  riposto
dal ricorrente su una determinata situazione giuridica e segnatamente
sulla inapplicabilita' della decadenza di cui all'art. 47  d.P.R.  n.
39/70 nelle ipotesi di domanda avente ad  oggetto  la  riliquidazione
della  prestazione  previdenziale  gia'   parzialmente   riconosciuta
dall'INPS.  Il  ricorrente   domandava   dunque   al   Tribunale   di
disapplicare lo ius superveniens in contrasto con la CEDU  ovvero  di
sollevare  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  47
d.P.R.  n.  39/1970,  cosi'  come  modificato  dal  decreto-legge  n.
98/2011. 
    5. Tanto premesso sui fatti di causa, ritiene  il  Tribunale  che
l'eccezione di improcedibilita' della domanda sollevata dall'INPS  in
ragione  della  mancata  proposizione  del  ricorso  amministrativo -
eccezione peraltro gia' implicitamente rigettata da questo Tribunale,
in diversa composizione monocratica, nel corso della prima udienza di
discussione - non sia suscettibile di  accoglimento.  Si  osserva  al
riguardo che il ricorrente  ha  presentato  domanda  di  liquidazione
della pensione ai sensi dell'art. 4  comma  1  del  decreto-legge  n.
501/95 e che l'INPS e' sin dal 1995 a conoscenza  dell'esistenza  dei
presupposti   del   diritto   del   ricorrente    alla    prestazione
previdenziale,  non  essendo  intervenuto   alcun   mutamento   della
normativa applicabile; di talche', visti i principi  affermati  dalla
giurisprudenza piu' recente formatasi in materia (v. per tutte  Cass.
n. 20892 del 5 ottobre 2007), deve ritenersi che  il  ricorrente  non
fosse tenuto a presentare una nuova domanda amministrativa  ovvero  a
proporre un ricorso amministrativo ai fini della procedibilita' della
domanda giudiziale. 
    6. L'infondatezza dell'eccezione preliminare di  improcedibilita'
della domanda impone  l'esame  dell'ulteriore  eccezione  preliminare
sollevata  dall'ente  previdenziale  resistente,  e  segnatamente  la
questione relativa alla decadenza triennale di cui all'art. 47 d.P.R.
n. 39/70, rispetto  alla  quale  la  parte  ricorrente  ha  sollevato
questione di legittimita' costituzionale. 
    7. La questione di legittimita' costituzionale sollevata da parte
ricorrente e' rilevante e non manifestamente infondata. 
Sulla rilevanza della questione 
    8. In ordine alla rilevanza, si osserva che  la  definizione  del
presente giudizio dipende dalla applicabilita'  alla  fattispecie  in
esame della decadenza di cui all'art. 47 d.P.R. n. 39/70, cosi'  come
modificato dalla novella del 2011; laddove tale norma fosse  ritenuta
senz'altro  applicabile,   infatti,   considerato   che   l'INPS   ha
riconosciuto parzialmente  la  prestazione  previdenziale  nel  1995,
l'eccezione  preliminare  di  inammissibilita'  della   domanda   per
intervenuta decadenza dovrebbe essere accolta, con una definizione in
rito della causa. 
    9. Invero, per effetto dell'entrata in vigore dell'art. 38  comma
1 lett. d) del decreto-legge n. 98/2011, all'art. 47  del  d.P.R.  30
aprile 1970,  n.  639  e'  stato  aggiunto  il  seguente  comma:  «Le
decadenze previste dai commi che precedono si  applicano  anche  alle
azioni giudiziarie aventi ad  oggetto  l'adempimento  di  prestazioni
riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori  del  credito.
In tal caso  il  termine  di  decadenza  decorre  dal  riconoscimento
parziale della prestazione ovvero dal pagamento  della  sorte».  Tale
disposizione, per espressa previsione legislativa, si  applica  anche
ai giudizi, come quello presente, pendenti in primo grado  alla  data
di entrata in vigore della novella normativa (v. art. 38 comma quarto
del decreto-legge n. 98/2011, secondo cui «le disposizioni di cui  al
comma 1, lettera c). e d), si applicano anche ai giudizi pendenti  in
primo grado alla data di entrata in vigore del presente decreto»). 
    10.  Il  chiaro  tenore  letterale   delle   disposizioni   sopra
richiamate e la previsione espressa dell'applicabilita'  della  norma
anche ai giudizi in  corso  pendenti  in  primo  grado,  preclude  la
possibilita' di un'interpretazione  diversa  da  quella  propria  del
significato letterale delle parole; come evidenziato anche di recente
dalla Corte di  Cassazione,  la  novella  legislativa  detta  infatti
chiaramente  una  disciplina  innovativa  con  efficacia  retroattiva
limitata ai giudizi pendenti in primo grado alla data di  entrata  in
vigore delle nuove disposizioni  (v.  Cass.  n.  6959  dell'8  maggio
2012). 
    11.  Considerato  che  il  contrasto,  evidenziato  dalla   parte
ricorrente, tra la norma interna e l'art. 6 della Convenzione europea
dei diritti dell'uomo non e' superabile in via esegetica  e  ritenuto
che,  in  ragione  della  natura  della   CEDU,   non   sussista   il
potere-dovere del  giudice  di  disapplicare  in  via  giudiziale  il
disposto dell'art. 38 comma 2 lettera d) n.  1  del  decreto-legge  6
luglio  2011,  n.  98,  convertito  in  legge  n.  111/2011,  l'unica
soluzione percorribile e' quella del controllo di costituzionalita'. 
Sulla non manifesta infondatezza della questione 
    12. Rispetto alla non manifesta infondatezza della  questione  si
osserva quanto segue. 
    13. Come gia' evidenziato dal Tribunale  di  Roma  con  ordinanza
dell'8 febbraio 2012 (pubblicata in Gazzetta  Ufficiale  n.  26/2012)
l'art. 38 comma 4 del decreto-legge n. 98/2011  convertito  in  legge
dall'art. 1  legge  n  111/2011,  prevedendo  l'applicabilita'  delle
disposizioni di cui al comma 1 lettera d) del medesimo art  38  anche
ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del
decreto-legge  n.  98/2011,  lungi  dal  prevedere   una   norma   di
interpretazione autentica, introduce nell'ordinamento  giuridico  una
norma dalla portata chiaramente innovativa e con effetti  retroattivi
(limitatamente ai giudizi pendenti in primo grado, con esclusione dei
giudizi pendenti in gradi successivi) in contrasto con l'art. 3 della
Costituzione  per  violazione  dei  canoni  di  ragionevolezza  e  di
eguaglianza. 
    14. Si osserva al riguardo, richiamando  le  considerazioni  gia'
svolte dal Tribunale di Roma  nell'ordinanza  sopra  citata,  che  la
disposizione in  parola  e'  fonte  di  irragionevole  disparita'  di
trattamento tra ipotesi  analoghe  poiche'  identiche  fattispecie  e
dunque identici diritti ad ottenere la riliquidazione, a  partire  da
una  medesima  data,  di  una  prestazione  pensionistica,  sarebbero
soggetti o meno al nuovo termine decadenziale per il solo  fatto  che
in alcuni casi alla data del 6 luglio 2011 la  controversia  pendesse
in primo grado e, in altri casi, pendesse invece in un diverso  grado
di giudizio. 
    15. Inoltre, come peraltro  gia'  evidenziato  dal  Tribunale  di
Roma, la norma censurata, introducendo un termine  di  decadenza  con
effetti retroattivi, si pone in contrasto con la giurisprudenza della
Corte costituzionale secondo cui non puo' configurarsi un'ipotesi  di
estinzione del diritto o del potere per mancato  esercizio  da  parte
del titolare in assenza di  una  previa  determinazione  del  termine
entro il quale il diritto o il potere  debba  essere  esercitato  (v.
Corte Cost. n. 191/2005). 
    16. Lo ius superveniens, incidendo su una materia  (la  decadenza
in materia di prestazioni  previdenziali  parzialmente  riconosciute)
che  aveva   ormai   cessato   di   essere   oggetto   di   contrasto
giurisprudenziale dopo l'ultimo intervento delle sezioni unite  della
Corte di cassazione con sentenza n. 12720 del 29 maggio 2009, oltre a
introdurre una disciplina irragionevole e percio' contrastante con il
disposto dell'art. 3 della Costituzione, si  pone  in  contrasto  con
l'art. 6 § 1 della CEDU secondo cui «ogni persona ha diritto a che la
sua causa sia esaminata equamente (...) da  un  Tribunale  (...),  il
quale decidera' (...) delle controversie sui suoi diritti e doveri di
carattere civile», cosi come interpretato dalla giurisprudenza  della
Corte di Strasburgo, violando cosi' il disposto dell'art. 117  Cost.,
per i seguenti motivi. 
    17. Le sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n.
12720/2009 sopra  richiamata  hanno  affermato  chiaramente  che  «la
decadenza di cui all'art. 47 del d.P.R 30 aprile 1970, n. 639 -  come
interpretato dall'art. 6 del di. 29 marzo 1991, n.  103,  convertito,
con modificazioni, nella legge 1  giugno  1991,  n.  166 -  non  puo'
trovare applicazione in tutti quei casi in cui la domanda  giudiziale
sia rivolta ad ottenere non gia' il riconoscimento del  diritto  alla
prestazione previdenziale in se' considerata, ma  solo  l'adeguamento
di detta prestazione gia' riconosciuta  in  un  importo  inferiore  a
quello dovuto, come avviene nei casi in cui l'Istituto  previdenziale
sia incorso in errori di calcolo o in  errate  interpretazioni  della
normativa legale o ne abbia disconosciuto una componente,  nei  quali
casi la pretesa non soggiace ad altro limite che non sia quello della
ordinaria prescrizione decennale». 
    18. Tale interpretazione della  norma  e'  stata  ribadita  dalla
successive pronunce di merito e di legittimita' (v. Cass. n. 948  del
20 gennaio 2010; Cass. n. 1580 del 26  gennaio  2010);  la  richiesta
della Sezione lavoro  di  rimeditazione  di  tale  orientamento,  con
ordinanza interlocutoria n. 1069/2011, non ha  avuto  seguito  atteso
che le sezioni unite della Corte di cassazione hanno  restituito  gli
atti alla sezione lavoro in ragione del sopravvenuto art. 38 commi  1
lettera d) e 4 del decreto -legge n. 98/2011. 
    19.  Pertanto,  alla  data  di  entrata  in  vigore  della  norma
censurata, la giurisprudenza di merito e di legittimita'  aveva  gia'
riconosciuto il diritto di quanti agissero  per  l'adeguamento  della
prestazione previdenziale gia' riconosciuta dall'ente previdenziale a
non vedersi opporre alcuna decadenza  ai  sensi  dell'art.  47  cit.,
incontrando la domanda il solo limite  della  ordinaria  prescrizione
decennale. senza l'intervento legislativo di cui al decreto legge  n.
98/2011 gli aspiranti ad una riliquidazione della  pensione  potevano
dunque avere un  legittimo  affidamento -  quasi  una  certezza -  di
ottenere una pronuncia nel merito, al  riparo  dalle  strette  maglie
della decadenza triennale. 
    20. L'intervento  normativo  del  2011,  nell'introdurre  in  via
retroattiva la decadenza di cui all'art. 47  cit.,  influenza  dunque
direttamente l'esito dei giudizi in corso contro l'INPS, determinando
una violazione del principio c.d. della parita' delle armi, affermato
dalla Corte europea dei diritti dell'uomo in  numerose  pronunce  (v,
sentenza Agrati e altri c. Italia del 7 giugno 2011  §  58,  dove  si
legge  che  «se,  in  linea  di  principio,  nulla  vieta  al  potere
legislativo  di  regolamentare   in   materia   civile,   con   nuove
disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti  da  leggi
in vigore, il principio della preminenza del diritto e il concetto di
processo equo sanciti dall'art. 6 ostano, salvo  che  per  imperative
ragioni di interesse generale, all'ingerenza del  potere  legislativo
nell'amministrazione della giustizia al fine di  influenzare  l'esito
giudiziario di una controversia»  e  che  «l'esigenza  della  parita'
delle armi tutelata dall'art. 6 CEDU implica l'obbligo di  offrire  a
ciascuna parte una ragionevole possibilita' di presentare la  propria
causa senza trovarsi in una situazione di netto  svantaggio  rispetto
alla controparte»; v. anche, nello stesso senso, la sentenza Anna  De
Rosa e altri c. Italia dell'11 dicembre  2012,  dove  si  legge  che,
benche' non sia precluso al  legislatore  di  disciplinare,  mediante
nuove disposizioni retroattive, diritti derivanti da leggi in vigore,
il principio di certezza del diritto e la nozione  di  processo  equo
contenuti nell'art. 6 impediscono, tranne che per  impellenti  motivi
di  interesse  generale,  ogni  ingerenza  del   potere   legislativo
nell'amministrazione  della  giustizia  al  fine  di  influire  sulla
conclusione giudiziaria di una lite). 
    21. Tale. ingerenza del  legislatore  nell'amministrazione  della
giustizia, avente  l'effetto  di  influenzare  la  risoluzione  delle
controversie rendendo la domanda giudiziale  inammissibile  ai  sensi
dell'art. 47 cit., in contrasto con la giurisprudenza di legittimita'
formatasi sul punto, deve ritenersi contraria al disposto dell'art. 6
§ 1 della CEDU non  risultando  dettata  da  «ragioni  imperative  di
interesse generale», nel senso inteso dalla Corte di  Strasburgo  (v.
sentenza Agrati c. Italia, cit. para 62 ss.). 
    22. Premesso infatti che secondo una  giurisprudenza  consolidata
della Corte europea dei diritti dell'uomo il solo interesse economico
dello Stato (nella specie, il risparmio  di  spesa  per  l'INPS)  non
giustifica un intervento normativo retroattivo (v. sentenza Agrati  e
altri c. Italia, cit., para 64 ss.),  si  osserva  che  nel  caso  di
specie non sussiste un valido interesse pubblico che  giustifichi  la
deroga al principio generale di irretroattivita' della norma e quindi
all'affidamento riposto dai consociati su  una  determina  situazione
giuridica. 
    23. Le  obiettive  esigenze  pubblicistiche  di  definitivita'  e
certezza  delle  determinazioni  concernenti  erogazioni   di   spesa
gravanti sui bilanci pubblici cui rispondono le norme sulla decadenza
in materia previdenziale (v. sul punto Cass.  n.  18528/2011  nonche'
Cass. n. 27674/2005) ben avrebbero potuto infatti essere  soddisfatte
mediante  una  disposizione  non  retroattiva,  tale  da  non  ledere
l'affidamento sull'esito della lite legittimamente riposto da  quanti
al momento dell'entrata in vigore della novella  legislativa  avevano
gia'  promosso  l'azione  giudiziaria.  Pertanto,  poiche'  la  norma
censurata, regolamentando definitivamente ed ex tunc le  controversie
pendenti in primo grado tra gli aspiranti alla rideterminazione della
pensione  e  l'INPS,  non  puo'  ritenersi  giustificata  da  ragioni
imperative di interesse pubblico generale, si realizza una violazione
del diritto ad un processo equo previsto dall'art. 6 § 1  della  CEDU
e, con cio', dell'art. 117 primo comma Cost.